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    Il risveglio dei corpi maledetti e il Carceriere
    Capitolo I

    dVQ6h



    « Mai visto così.»

    Saphira lo guardava da lontano. Un cadavere lasciato a marcire su quella poltrona, in quella stanza in penombra, senza nulla, distrutta come le ali, come l'orgoglio, come le certezze.
    Vicino a lei un impermeabile fatto di tenebra. Un volto che era nero.
    Non c'era un volto solo un groviglio di filamenti di tenebra.
    L'Uomo era accanto a Saphira.
    Silenzioso. Come sempre.

    «Si è arreso?»

    Saphira non comprendeva a fondo la disperazione di Rhadamantys. La sua esistenza era votata al servizio. Tra le 108 Stelle Malefiche Rhadamantys aveva scelto di suo volontà di seguire Hades; forse fu l'unico a farlo. Si era prostrato perché aveva giudicato se stesso incapace come figlio, come Re e come Giudice.
    Aveva speso una vita per una promessa e per lo scopo per poi vedere la prima infranta dalla sua stupidità e noncuranza, dalla sua indulgenza e dalla sua poca fermezza, la seconda distrutta perché non era stato Giudice né Specter solo una pozzanghera di fango e piscio.
    Aveva infangato se stesso e lo scopo. Aveva infangato tutto. Di se stesso poco importava ma la causa era superiore.
    Aveva versato così tanto sangue da poter riempire l'Oceano di Poseidone.

    Ma non poteva comprendere che da quella stessa disperazione nasceva una rabbia funesta. Non poteva comprendere un uomo divenuto demone. Un Male votato ad una causa superiore.
    L'Uomo se ne rimaneva in disparte, tra ombre, sudari e mistero; attendeva gli sviluppi osservando Saphira andare verso Rhadamantys.
    Quando qualcosa smosse quella stanza. Fu come un ronzio di sottofondo. Come una nota stonata in una perfetta melodia che si ripeteva ciclica rompendo l'armonia, creando una sorta di disgusto.
    Rhadamantys era si su quella poltrona, come un relitto spiaggiato, ma solo all'apparenza. La sua era una calma apparente. La sua non era che una tempesta che stava gonfiandosi sempre di più.
    Quel ronzio era qualcosa di sordido, era una lama che veniva affilata su di una pietra; era un fuoco che continuava ad ardere divenendo incendio.

    Per poi esplodere con tutta la rabbia che aveva in corpo.




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    AAAAAAAAAAA
    AAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!





    Il castello di Rhadamantys tremò dalle sue fondamenta. Un maniero simile ad una lancia che svettava verso l'alto. Era duro, con mura spesse, non era adorno di nulla fuorché di potenza e determinazione.
    Quel castello rispecchiava la natura di chi lo abitava. Nessun fronzolo, nessuna guglia, nessun ornamento: duro, forte, spesso sfidava il gelo del Cocito divenendo parte di quel luogo maledetto.
    Mentre l'Inferno ormai era in preda al caos rimaneva monolitico.
    Quel castello non era crollato contro Sin, non sarebbe crollato ora. Né Rhadamantys avrebbe permesso che l'Inferno crollasse su se stesso solo perché un pezzo di merda li aveva ingannati.
    Piangersi addosso, chiedere perdono non era né il momento, né il luogo.
    Dovevano combattere.
    Il respiro tornò calmo. Di questa potenza fu solo un momento.
    Un battito d'energia. Un lungo respiro prima del balzo.
    Lo Tsunami che si ritira per poi tornare con ancora più forza ad abbattersi sulla costa.
    Fu veramente un attimo. Un urlo per sfogare quella rabbia che non riusciva più a contenere.
    Sentiva l'Inferno defraudato. Sentiva che tutto quello per cui aveva combattuto fosse stato spazzato via come un bambino dispettoso.
    L'Inferno era un Editto. Era il luogo in cui le anime trovavano il loro posto. Era il luogo dove venivano giudicate e scontavano le loro pene.
    Era un Ordine.
    Ora era solo Caos.
    Le anime scorrazzavano libere, divenendo demoni della peggior specie. Fuggivano dalle loro carceri per ritrovare quel Sole tanto agognato e così facendo distruggevano l'Ordine dell'Universo.
    Nessuno comprendeva mai che per ogni cosa vi era il suo posto. Che il Caos non generava nulla che solo dalla Legge poteva nascere l'Equilibrio.
    Ordine e legge.
    Questo era l'Inferno. Ma questi pezzenti avevano dissacrato anche questo.
    La mano di Saphira sfiorò il braccio della Viverna.


    « Non sono disperato.
    Sono incazzato


    Occhi dentro gli occhi. Saphira e Rhadamantys; la mano si fece tenaglia sul braccio del Giudice.

    « Ora che dovremmo fare? L'Inferno sta collassando. »

    Guardò da quelle finestre distrutte il Caos del Cocito. Le urla delle anime che gridavano una libertà che non gli era dovuta.
    Il ghiaccio rotto.
    Le prigioni vomitavano fuori il loro marciume che scorrazzava ormai libero riprendendosi quella libertà agognata.


    La Speranza Divampava Tra Le Fiamme




    Il pugno si strinse sbiancando le nocche. Rabbia.
    Questa era la vera rabbia di un Giudice. Perché non era arrabbiato. Quello poteva esserlo quando perdeva una Guerra Santa, quando moriva portando con sé l'ennessima Cappa Dorata, poteva esserlo quando non riusciva ancora a scalare l'Olimpo, o quando le stelle gli ricordavano che suo padre era ancora lì, al suo posto incurante di tutti e tutto mentre se lo faceva succhiare da qualche puttana in calore.
    Per questo era arrabbiato.
    Oggi era diverso.
    FURIA
    Una furia che non riusciva più a contenere. Guardava dalla finestra e tutto questo li faceva attorcigliare le viscere provocandogli un dolore lancinante.
    Cieco era stato.
    E cieco continuava ad essere.
    Aveva atteso quando doveva solo spaccare il cranio di quel bastardo, strappando l'utero di quell'altra vacca travestita da donna.
    In modo tale che non avrebbe permesso che un figlio potesse essere generato da tale ventre putrido.

    « Signore arrivano.
    Kyouka di Cetus, il Balrog, e vedo anche il Vampiro che si sta avvicinando.»


    Nel volto di tenebra di Uomo non c'era nulla, se non un proliferare di ombre che si muovevano.

    « Portatemeli da me. Abbiamo bisogno di un piano.»

    « Col suo permesso vado ad accoglierli, nel mentre preparo la Sala Grande.»

    Si rigirò di scatto il Giudice. I suoi occhi fiamma maligna, putrida come miasma che avrebbe avviluppato il mondo divorandolo. Il pugno a mò di artiglio.

    « Prepara il castello.
    Alla Guerra





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    Das Wyvern-Schloss




    Saphira volteggiava sul pinnacolo più alto. Il ruggito squassò cielo e terra. I suoi artigli scavavano nei forti muraglioni, in quelle pietre rozze e dure, mentre i suoi occhi scrutavano l'orizzonte in attesa di chi si stava avvicinando.
    Da lontano la sua ombra si era fusa in un tutt'uno con il castello della Viverna, al tyempo stesso corpo amorfo.
    L'Architettura era semplice, rozza, perfettamente lineare e con un suo scopo. Il carattere di Rhadamantys fattosi mura, mattoni, guglie, pinnacoli.
    Scolte sui camminamenti.
    Ombre di oscuri abissi.
    Persino le ombre, le tenebre nascondevano artigli e zanne. Ogni tanto un ferale luccichio. Ogni tanto un rumore come di abomini che sussurravano, che continuavano a rosicchiare chissà cosa.

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    Kriegssoldat




    Quello non era un castello.
    Era un Kriegsfestung. Era una macchina da guerra pronta ad eruttare fuoco e fiamme sui nemici dell'Inferno. Sordo rombo provenne da esso.
    Gli Speerkämpfer alle porte avevano lance aguzze contorte, con armature rozze. Acciaio temprato più e più volte, schizzi di sangue e merda incrostati.
    Avevano forse combattuto, forse no, eppure quel luogo era silenzioso e stranamente quieto.
    Voci correvano in ogni dove, urla di ordini e bestemmie.
    No...quel luogo non era silenzioso né tranquillo, era in fermento. Era pronto per la guerra.
    Si chiusero le picche, uno sputare per terra, tra denti marci, mentre altri soldati arrivarono alle porte pulendosi la lordura da barbe incolte e ispide, dure come le spade che portavano.
    Ritti in piedi, picca di partigiana incrociata con quelle dei compagni dinanzi ai cancelli d'ingresso. Pronti solo a fare il loro dovere di scolta, in attesa di sapere chi annunciare alla Viverna. O quale altra tomba riempire. Nessuno sarebbe passato di lì.
    Nessuno.
    E avrebbero dovuto aspettare lì. Saphira dall'alto continuava a ruggire sommessa, come lugubre tuono in lontananza.

    « Ritornate ai cancelli e ai vostri doveri.
    Questi sono ospiti non letame. Né anime che fuggono dalla nostra collera. Gli ospiti di riguardo meritano ben altra guida.
    E chi meglio di Ilvastor? »


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    Una voce giunse dalle loro spalle. Le picche si aprirono lasciando intravedere di chi fosse il proprietario.
    Tono duro. Secco. Imperioso. Di chi non ammetteva repliche.
    Un colosso alto sette piedi dentro un'armatura a piastre d'acciaio nero, un' alabarda da cavaliere che spuntava dalla schiena. Il volto...non era di questo mondo.
    Il collo troppo lungo, capelli lunghissimi, neri, perfetti che cozzavano con l'armatura che portava e quel tono reso più cupo da una maschera che gli copriva naso e bocca, da cui partivano 4 spuntoni metallici.

    « L'Uomo ci ha detto che stavate arrivando.
    Se volete seguirmi, il mio signore vi attende. »



    Attraversarono il cortile interno. Il silenzio rotto dagli ordini, dal clangore delle armi e da tenebre che strisciavano ovunque. Anche lì dove non dovevano.
    Procedettero nella semi oscurità di lunghi corridoi, un labirinto apparentemente infinito, nel quale riecheggiavano lamenti, sospiri e polvere. Salirono scale lorde di sangue nerastro, preceduti dal passo certo della loro guida.

    E in cima al palazzo lui li aspettava.

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    Solo






    L'aria era pesante. Sapeva di cose maledette, di putredine miasmatica. E la tenebra di Schwarzes Blut era entrata dentro, nel profondo di tutti loro. Oltre le porte, la Sala accolsero quel gruppo sparuto di specter alla ricerca di identità. Nella penombra era possibile distinguere un enorme, spoglio antro circolare. Alle pareti erano attraccate una corona di candelabri a tre braccia la cui luce urinaria era appena sufficiente a illuminare il trono posto al centro della sala. Luci tremanti, e una sola ombra gigantesca. Un trono in marmo nero, sul quale era assisa una figura vestita in eleganti abiti color della notte. Impossibile distinguere il suo volto, totalmente perso nell'ombra.


    « Dovete essere davvero terrorizzati per venire da me. »

    Sogghignò.
    La Viverna era rilassata contro lo schienale del trono, il capo reclinato di lato, oziosamente poggiato sul pugno chiuso.
    E solo allora si sporse di più lasciando che quella luce urinale mostrasse il suo volto.
    Un volto che manteneva una calma invidiabile.
    Il suo sorriso era uno snudare di canini al veleno. Gli occhi due pozze di sangue fisse su di loro, dentro loro.

    « Kyouka vi dovrebbe dire alcune cose.
    Il primo di voi che urla, alza la voce, si batte il petto, o vomiterà alcunché su di lei o su questa situazione lo divoro e getterò la vostra anima in posti che meglio non conosciate mai. »


    Lo disse spendendo tutta la fiata di un fiato. Come se l'avesse vomitata quasi. C'era disgusto per tutto questo.
    In più era andato dritto al punto cruciale della situazione.
    Del resto poco importava. Avrebbero potuto ammazzarsi tra di loro dopo. Lui aveva ben altro a cui pensare.
    Persino gli arazzi di scene di guerra antiche, di vecchie Guerre Sacre, di sconfitte e vittorie tremarono.

    « Kyouka... »


    Edited by Lyga - 10/3/2023, 17:42
     
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    Capitolo II - Primo Victoria

    dVQ6h






    Tutte cose che già sapeva.
    Su quel trono Rhadamantys non ascoltava novità, ma solo quello che già sapeva e che non era riuscito a capire fin dall'inizio. Il fianco gli faceva ancora male. Un buon piano.
    Veramente da bastardi.
    Semplice. E accurato.
    Rhadamantys contrasse una mano ad artiglio.

    « Troppe parole. Andrò da questo guitto e lo ucciderò con le mie mani.»

    Ormai era chiaro che dovevano agire in modo tale da ripristinare questo mondo e al tempo stesso portare Hades di nuovo in questo regno.
    I motivi?
    Il loro dio doveva ritornare. Punto.
    I gemelli anche.
    Le loro forze dovevano essere ripristinate. Prima Sin ora questo fantomatico gastly erano solo il pus di una ferita mai del tutto curata, mai del tutto chiusa.
    Continuava a buttare veleno e pus infettando continuamente i loro domini.
    Era il momento di cauterizzarla.
    Col ferro. Il pugno. E il sangue.


    « Abbiamo dei compiti e...»


    Il Vampiro. Voleva andare da questo bastardo ed era anche chiaro e insito nella sua natura. Sangue.
    Pregustava il sangue che sarebbe stato versato in abbondanza. Per la gloria di Hades e la Puttana Guerra.
    Era quello per cui aveva ceduto la sua umanità. Per il gusto del sangue e per quella lacrima di tenebra che gli aveva solcato il viso.


    « Va bene.»

    Fece una pausa. Una stasi breve studiata, premeditata. Si alzò dal suo scranno, passando accanto a quello sparuto gruppo di specter, mentre fuori il caos regnava.
    Era davvero ilare tutto questo.
    E al tempo stesso rendeva manifesta la loro incapacità. Un qualcosa stava ruggendo dentro di lui.
    Ma non era il momento.
    Per tutto c'era il momento adatto. Farsi prendere dalla rabbia, come un giovane soldato, era solo stupido.
    Ordini e ordine.


    « Andiamo. Ci vederemo a cose fatte.»

    Potevano vincere? Per la prima volta in troppo tempo ne dubitò.

    «La cosa che mi fa più strano e che in tua reincarnazione abbiamo combattuto insieme contro Sin.
    Anche allora combattesti da solo. Anche allora io dovetti scontrarmi con chi voleva conquistare tutto questo.
    Strano... »


    I passi riecheggiarono nella sala mentre ognuno di loro si preparò al suo compito.
    Vampiro e Viverna furono due ombre silenziose che sgusciarono fuori da quel maniero di ombre e demoni andando verso l'ennesima battaglia.
    Strana coppia.
    Come fu strano anche allora. Ma vinsero. Nonostante tutto.
    E perché non farlo ancora?
    Speranza?
    No.
    La speranza non esisteva all'Inferno e a loro non si votavano gli specter sapendo quanto fosse inutile, quanto fosse vigliacca e illusoria.
    Loro marciavano non affidando a null'altro che a se stessi e ai propri pugni il compito, lo scopo, la vendetta e il riprendersi quello che da sempre era stato loro.
    La loro rabbia rimaneva silente.
    Eppure le surplici emanavano una tetra luce. Come tetri erano quegli occhi.
    I pugni serrati. Il passo svelto e sicuro.
    Parole? Nessuna.
    Non aveva tempo né voglia di parole. Tutto il suo essere era concentrato solo su questo figlio di vacca che si era appropriato di quello che era loro.
    Demoni che imperversavano nel mondo. Un male che si contrapponeva al bene per la supremazia del Creato.
    Di parlare il Giudice non aveva voglia. Per orgoglio, per rabbia, per odio. Verso il bastardo e verso se stesso.
    C'era solo l'impazienza di arrivare al Castello di Hades e poter finalmente schiacciare il verme sotto il tacco del proprio stivale.




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    CASTELLO DI HADES




    « Forse ci sta aspettando. Chissà perché non ci ha ammazzato prima. »

    Sputò per terra.
    Tutto stranamente quieto. Nessuno si era fatto avanti. Tutto semplice.
    E le cose semplici non esistevano.
    Un passo.
    Un altro.
    Un altro ancora.
    Nulla. Né un suono, né un pericolo. Si guardò intorno: il castello rimaneva lì, in questa quiete ammantato di silenzio che cozzava con gli avvenimenti e la rabbia dei due.
    E allora perché si era fermato?
    Non era l'istinto era un qualcosa che strisciava lungo la sua schiena. Millenni su millenni di guerra, sangue, assassini, di conflitti e macchinazioni, di pugnali al veleno e gorgogli soffocati.
    Era nell'aria. Era nella terra. Era nelle vibrazioni che portavano quel vento a sferzargli l'elmo.
    Si girò di scatto.

    «Ci ha chiuso. Lo avrei fatto anche io. La cosa mi fa incazzare ancora di più.»

    Sapeva che qualcuno sarebbe arrivato. Sapeva che uno come Rhadamantys lo avrebbe fatto.
    Portare la Legge di Hades e la sua personale vendetta per schiacciarlo.
    Non avrebbe permesso a nessun altro di toglierglielo dalle mani. E si sarebbe presentato da solo.
    Perché era suo e solamente suo. Voleva gustarsi le sue carni.
    Sarebbe stato così facile...ma le cose difficili avevano ben altro sapore. E si passò la lingua sul palato osservando quella massa oscura avvicinarsi.



    FqEN677



    Una massa di creatura contorte come mandria impazzita correvano verso di loro.
    Ma questo significava anche un'altra cosa: che questa vacca travestita da demone non aveva né il coraggio, né la forza per schiacciarlo. E in fondo anche Rhadamantys stava studiando il suo avversario.
    Un guitto.

    « Ha fatto i compiti a casa. Sapeva come avrei agito in quest'occasione e ci ha chiusi di conseguenza. »

    Il Vampiro non si scompose invece.
    L'obbiettivo rimaneva uno.


    « Fermali. Io vado a chiudere questa questione.»

    Si girò lasciando contro quella masnada. E gli sorrise turpe.

    « Per te stare in minoranza numerica non è un problema, vero Voivoda? Ricorda Maometto II. Ricorda la Valacchia. Ricorda L'Ordine Del Drago.»

    La Viverna era entrata, con la sicurezza di un giudice all'interno del Tribunale in cui verrà emesso il giudizio nei confronti di colui che aveva osato violare la legge del Dio dei Morti, mentre Vlad restò fuori. Stretto nel suo spolverino rosso li guardava, le centinaia e centinaia di esseri che iniziavano ad accalcarsi, come sospinti da un vento invisibile arrivavano seguendo il richiamo dell'impostore nel castello.
    Rhadamantys entrò per l'Editto.
    Entrò per la Legge e il Dogma.
    Entrò per Hades e per se stesso.
    E finalmente poteva dare sfogo a tutta la sua nera anima. Al suo odio. Al suo essere

    SPECTER




    Edited by Lyga - 18/3/2023, 20:29
     
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    Capitolo III - FU GUERRA E FU SANGUE

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    Il Castello di Hades lo accolse come una puttana libidinosa.
    Come una dama del lago; emblema di donna promiscua, sempre alla ricerca di ulteriori rapporti sessuali, con qualunque partner. Ecco cos'era diventato questo luogo agli occhi di Rhadamantys: un bordello dove tutto puzzava di un qualcosa che non riusciva a descrivere.
    Sesso? Depravazione? Concupiscenza? Odio? Vendetta? Assassinio? Potere? Tradimento?
    O era lui stesso a provare tutto questo per poi rivolgerlo su questo castello?
    Quest'oggetto?




    «Hai perduto Hades. E le Urne. E ti presenti qui»


    «Giudice di vermi»


    «Stupido e vanaglorioso»


    «le tue ali sono spezzate e ti ho usato. Sei solo merda.»




    Entrò con queste parole nelle orecchie.
    Un ronzio malevolo che lo scudisciava ad ogni passo.
    Risate lugubre in un luogo profanato. E pensare che lui una volta contasse qualcosa, che questo posto fosse un qualcosa d'importante...un tempo che gli uomini provavano paura al solo immaginarlo, al solo sentirlo nominare.
    Com'era accaduto? Com'era caduto così in basso?
    Perché gli specter affogavano in questo mare di merda? Dove avevano sbagliato? Dove aveva sbagliato?
    Perché richiamarlo allora? Era così debole da non aver riconosciuto Hades?
    Giudice di vermi perché verme lo era lui.
    Dubbi. Ansie.

    Poi l'applauso. Schifosamente teatrale. Il pubblico aveva gradito la recita del Giudice su questa quinta teatrale di merda.
    Aveva recitato la sua parte di guitto e burattino con maestria e talento. L'applauso fu scrosciante. Rimbalzò da muro a muro come di un sasso lanciato di piatto sull'acqua.


    « Giudice di Vermi! Benvenuto in questo palazzo che tu tanto conosci. Porgo i miei omaggi a te che tra tutti sei quello che più amo manovrare.»

    La voce scrosciava mista agli applausi che sembravano cascarli addosso.
    Manovrato...spezzato.

    - WHAT DO YOU FIGHT FOR



    Riecheggiò questo pensiero in un qualcosa che un tempo fu altro. Non era come ora. Non era nemmeno il pallido ricordo. Tutto si era liquefatto ai suoi occhi, la scena con essa, le sue mani affondavano in questa melma liquida calendoscopica di immagini e di momenti sia del passato che di ora.
    E scoprì come una scudisciata sulla schiena quanto fosse debole. Non aveva ali. Non aveva orgoglio e non vi era più il pugno serrato. Vi erano catene. Schiavo di esse. Prigioniero di se stesso.
    Le ali erano spezzate. Non le aveva più. Non aveva più il pugno. Non aveva più l'orgoglio. Per cosa combatteva?


    - WHAT DO YOU FIGHT FOR




    « Hai servito bene. Hai portato tutto questo a compimento. Bravo!
    Buon servo. Anzi ottimo! Hades dovrebbe esserne io fiero...o dovrei esserne io?»



    - WHAT DO YOU FIGHT FOR



    « Hai combattuto Melkor e lo hai vinto eppure stavi per perdere tutto. Ironia della sorte te e quel cane del vampiro avete salvato la baracca!
    Forse non era meglio fregarsene? Il risultato, qualsiasi cosa tu faccia, è sempre è solo uno...
    Te che perdi!»



    - WHAT DO YOU FIGHT FOR



    Ma per cosa lo faceva? Le parole rimbombavano ovunque. Come la risata da porco che grugniva.


    «Ti vorrei decantare una poesia giudice.
    Secondo me si addice a questo momento.»





    He chanted a song of wizardry,
    Of piercing, opening, of treachery,
    Revealing, uncovering, betraying.
    Then sudden Felagund there swaying
    Sang in answer a song of staying,
    Resisting, battling against power,
    Of secrets kept, strength like a tower,
    And trust unbroken, freedom, escape;
    Of changing and of shifting shape,
    Of snares eluded, broken traps,
    The prison opening, the chain that snaps.
    Backwards and forwards swayed their song.
    Reeling and foundering, as ever more strong
    The chanting swelled, Felagund fought,
    And all the magic and might he brought
    Of Elvernesse into his words.
    Softly in the gloom they heard the birds
    Singing afar in Nargothrond,
    The sighing of the Sea beyond,
    Beyond the western world, on sand,
    On sand of pearls in Elvenland.
    Then the gloom gathered; darkness growing
    In Valinor, the red blood flowing
    Beside the Sea, where the Nolder slew
    The Foamriders, and stealing drew
    Their white ships with their white sails
    From lamplit havens. The wind wails,
    The wolf howls. The ravens flee.
    The ice mutters in the mouths of the Sea.
    The captives sad in Angband mourn.
    Thunder rumbles, the fires burn—
    And Finrod fell before the throne.




    Sauron contro Finrod Felagund.
    Per difendere Beren...Tolkien...strano che la decantasse proprio adesso. Strano che lui fosse Finrod che veniva schiacciato da Sauron e dalle sue tenebre morendo nelle segrete della Torre del servo più bastardo di Morgoth.
    Da quella balconata decantava tutto questo e nella sua mente si aprivano scenari e immagini, suoni e sapori.

    « Tutto questo è in rovina. Ora cosa farai, mio Giudice?»


    - WHAT DO YOU FIGHT FOR



    Per cosa combattere se non esisteva più quello che conosceva? Se le sue ali erano spezzate per cosa continuava ad arrampicarsi su questa via? O era più uno strisciare in una tomba da troppo tempo aperta?
    Era morto...eppure qualcosa lo aveva richiamato...ma non Hades. Inganno si mischiò alla viltà.
    Mostrando Rhadamantys per quello che era in realtà: un guitto. Aveva solo indossato i panni di chissà cosa, si dice Imperator, ma che di fatto era solo signore di fogne ed escrementi.
    A questo era servito oggi. Le sue battaglie erano servite per la brama di altri. Aveva tradito se stesso.
    Le sue ali erano solo la prova della sua stupidità e insignificanza.

    « Rimani lì? Ti sei finalmente accorto che la morte è arrivata anche e sopratutto per te? Allora vieni e io, da magnanimo padrone, ti onorerò di una morte rapida. Perché mi hai servito bene

    Passi risuonarono scandendo l'ultimo atto di Rhadamantys in questo tempo. La sua storia finiva qui.
    Spezzato.
    Salì in silenzio cercando di mantenere una dignità perduta.
    Gli occhi bassi. Le spalle piegate in avanti come sotto un peso. Stanco saliva i gradini di pietra. Lento.
    Tutto questo gli era pesante.
    Persino la sua stessa esistenza.

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    E infine fu lì di fronte al bastardo.
    Nemmeno lo guardò; delicate due dita alzarono il suo mento per infine trovare due pozzi di un qualcosa di assoluto e malevolo.
    La sua mente venne trascinata via.

    « Mi dimenticherò di te. Ma grazie di tutto.»

    la mano fu lancia di fuoco. Si mosse come un serpente.
    Sangue. Puzza di carne bruciata.
    Un artiglio.


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    un ringhio.
    L'artiglio lasciò il posto ad un pugno che collassò sul viso del bastardo.
    Il cosmo divenne nova.
    Le dimensioni si aprivano sul corpo di Rhadamantys. Era diventato una dimensione a parte.
    Il pugno si serrò leccando da esso il sangue del bastardo. Lo assaporò.
    Lo sguardo non fu di un uomo.


    « Così come tu hai studiato me ho fatto lo stesso con te, sterco.
    Da un serpente non mi aspetto mai un attacco diretto. Tu aspettavi il mio ma io ero già preparato al tuo.
    Ci ho rimesso un po di carne dalla spalla sinistra ma questo dolore mi inebria. Così come il tuo cosmo.
    Hai giocato con noi come un attore che recita la sua parte. Tutto era al suo posto, gli attori, le comparse, l'inganno e te.
    Il problema? Non hai fatto i conti che io sono una cloaca.»


    Rhadamantys aveva volutamente fatto credere di essere in suo volere. Fin dall'inizio non si era fidato delle sue percezioni ma solo della rabbia che provava in corpo.
    Solo dell'odio che gli divorava le viscere fin dall'inizio di questa storia.
    Era un fuoco che lo consumava. La fiamma nera dell'odio.
    Una fiamma che non trovava pace da quel giorno...quel maledetto giorno in cui nacque.


    « Sono disposto a sacrificare l'intero Ade, me stesso anche per gli scopi di Hades.
    Non mi interessa essere chiamato merda o vigliacco. Io voglio al testa di Zeus e che il trono sia di Hades il resto è insignificante.
    Ma non sapevo se quello che sentivo e vedevo fosse vero fino a che non mi hai colpito. Puoi ingannare la mia mente, puoi dominarla ma il tuo cosmo che mi ha colpito quello non puoi nasconderlo.
    Anche perché sei così egocentrico che non vedevi l'ora di ammazzarmi con le tue stesse mani. Mi sono solo preparato.»


    Scattò con tutta la rabbia che aveva in corpo, finalmente libera di dare sfogo alla fiamma nera che lo bruciava da dentro.
    Pugno contro pungo.
    La fiamma contro la materia oscura. Il caos che tutto annienta di contro al fuoco che rendeva cenere.
    La paura negli occhi del finto Hades; l'odio e la voglia di sangue in quegli del Giudice.
    E fu guerra.
    Le sue illusioni non avevano avuto l'effetto di annientare la mente di Rhadamantys e dominare le sue percezioni si era rilevato errato.
    Rhadamantys era furia omicida. Era un desiderio di ridurre il creato in un oceano di sangue dove ribollivano i morti urlando la loro agonia, la loro disperazione, bestemmiando contro Hades e la sua imperante volontà.

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    - STUPRERÒ LA TUA ANIMA. LA DIVORERÒ DOPO AVERLA FATTA A PEZZI




    Quella era un arma brutale fatta di materia oscura dove vorticavano sul filo, squarciando e collassando, decine e decine di dimensioni.
    Calò con brutale violenza sul finto Hades.

    Un ombra che sembrò partorita dal corpo del bastardo si frappose tra quello strumento per uccidere e il corpo del suo signore.
    Impatto.
    Urlo.
    Fuoco come un vortice che avviluppò la Viverna chiudendolo in una morsa fatta di fuoco così caldo da rivaleggiare con quello dell'Inferno.
    Le mani si mossero e con essi la tenaglia.
    Il corpo della Viverna divenne un vomitare di cose oscene e lugubri: dimensioni che si aprivano su abissi che solo ad un demone era concesso poter contenere e avere; la materia oscura divenne la sua surplice. Un bozzolo putrescenti di un qualcosa che annichiliva l'esistenza stessa della Vita, dell'Universo, dello spirito.
    Era il Nulla.
    Il fuoco impattò su di essa. Le dimensioni ne dissiparono la violenza mentre la sua mente veniva flagellata da immagini odiose di sconfitte, di suo padre che violentava sua madre innocente; della sua terra lasciata in mano ai barbari.
    Di una guerra che lo lasciò morente e dell'amore che si negò per vendetta.
    Il pugno fatto di fuco e calore gli ustionò il viso. Un altro lo colpì allo stomaco mozzandogli il fiato, facendogli scoprire nuove forme e nuove parole per descriverlo.
    Due mani incrociate. Calarono a ghigliottina sulla sua schiena e le fiamme ne deturparono carne e muscoli.
    Le dimensioni si aprirono intorno al bastardo. Risucchiandolo mentre una tempesta di pugni venne vomitata da quegli abissi.
    Ad ogni colpo fu come sentire la deflagrazione di una galassia morente, sentì il nulla scivolargli addosso e divorarlo.


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    Si muovevano veloci. I loro colpi facevano vibrare le fondamenta stesse dell'Inferno.
    Ogni colpo era pari all'impatto di decine e decine di bombe nucleari. Le esplosioni si susseguivano incalzanti e il cielo si accese di colori cangianti.
    Il tono arancio incendiò ogni cosa, la cenere si posava su di un paesaggio devastato, mentre vi era una chiazza come un tumore che si espandeva ovunque divorando, dissacrando, maledicendo il creato portandolo a non essere più niente.
    Cancellato.



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    Ancora la Viverna incalzò.
    Lo legò in una morsa dove la mano destra prese la testa portandolo verso il suo petto, e la sinistra chiudeva la presa facendo pressione sul collo stringendolo, le ossa scricchiolarono; fece divampare il suo cosmo nero e osceno.
    L'urlo dell'uno si mischiò al ruggito dell'altro.
    Il sangue bagnò la terra.
    Le ginocchiate di Rhadamantys continuavano a martellare il corpo del bastardo.
    La mente della Viverna era votata alla distruzione totale.
    La fiamma avviluppò entrambi mentre alcune ombre scivolarono non viste addosso al Giudice esplodendo.
    L'oscurità lo ghermì, il pugno allo sterno lo scaraventò lontano su di una parete che fracassò su se stessa e il Giudice.
    Ancora le immagini della madre stuprata e la risata di Zeus.
    Non voleva ricordare.
    Ma era giusto farlo.
    Quel bastardo non faceva null'altro che renderlo ancora più brutale. Non faceva che alimentare la fiamma nera che incendiava il suo cuore...un cuore che non aveva più. Ma c'era. Carbonizzato e marcente ma c'era.
    E allora i ricordi erano solo ambrosia. Nettare dolce su ferite mai chiuse.

    Uscì da quel cumulo di macerie da un varco dimensionale, piangente materia oscura, e i piedi di Rhadamantys toccarono di nuovo quella terra infame; che doveva essere lavata e sterilizzata con il sangue e le budella di quel figlio di vacca.

    Qualcosa stava accadendo al corpo del bastardo. Le sue fattezze, da prima nobili, la pelle pulita e perfettamente liscia, i capelli neri e ordinati stavano cadendo come pezzi di argilla che si staccavano.
    Le ferite si stavano chiudendo, le ossa ricomporsi, quel cosmo era al massimo della sua forza ancora.

    « Anche se faccio a pezzi al tua mente è la tua indole che ti porta a volermi distruggere. E allora mettiamo fine a tutto questo.»

    E mentre quel corpo si mostrava per quello che era, mentre la potenza che aveva accumulato ora era libera di potersi mostrare in tutto il suo iniquo splendore, da quel corpo nacquero migliaia e migliaia di ombre.
    Spiriti che dovevano rimanere nell'Ade ma che si erano ribellate alla Legge del Creato.
    Ad un ordine prestabilito da Hades in persona affinché tutto non colasse su se stesso e nuove guerre avrebbero continuato a infierire sull'Universo.
    Serviva da sempre l'ordine. Anche se questo doveva essere imposto col pugno di ferro e la paura.

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    Ed ecco il caos che prendeva il sopravvento. L'orrore. La paura. Ridevano sguaiatamente.
    Nascevano da quel corpo come da un ventre putrido e malsano. Come pustole che crescevano per poi esplodere lasciando una sostanza vischiosa che strisciava per terra e prendeva forme di ombre.
    Demoni che avrebbe riportato all'Ordine.
    Demoni che avrebbe divorato.
    E quelle legioni si schierarono contro Rhadamantys che solo si ergeva di fronte al Caos e all'ignominia.
    L'urlo sembrò un ronzio che gli trapanava le orecchie.

    Berserk-06
    - TUTTO IL TUO MONDO SARà SOLO MIO
    TU SARAI MIO SCHIAVO FINO A CHE VORRò E SOTTO QUESTO STESSO CIELO SARò IO A DECRETARE LA TUA SORTE

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    Le sue ali spezzate erano come artigli spuntati che grattavano le dimensioni facendole collidere le une sulle altre.
    Il Giudice era da solo. Mentre le armate di demoni gà pregustavano la carne di Radamanto, figlio bastardo di Zeus, Giudice dell'averno, La Viverna dei 108 mali del mondo.
    Un demone che si ergeva sopra tutti loro schiacciando nemici ed alleati per il solo ed unico scopo.
    L'urlo e il calpestio di zoccoli sulla terra, di artigli che graffiavano la nuda roccia, di zanne che stridevano, di artigli vogliosi di carne e violenza.
    Immaginavanop quel corpo nudo e poterci fare di tutto.
    Stuprare carne e spirito.
    Facendogli pagare le loro pene.
    Come se questo avesse appagato l'odio...forse...chissà....

    - BASTARDI! SPUTO SU DI VOI!
    SIETE CONDANNATI CHE DIVORERÒ!
    NESSUNO SCAPPA DA ME E DAL MIO EDITTO. UOMO, DIO O DEMONE!



    E tutto si contrasse.
    Le dimensioni si squarciarono le une sulle altre, come artigli che facessero scempio della carne della preda.
    Ed ecco apparire dagli abissi dell'Averno e dal Cocito l'armata invincibile.



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    - LA MASNADA DI HELLEQUIN





    Il Nero Esercito che Rhadamantys aveva creato scegliendo i più valorosi sui campi di battaglia.
    Morti brandendo le armi alla ricerca chi di uno scopo, chi di una violenza, chi di una vendetta, chi solo della brama di potere o della più pura voglia di uccidere.
    Dall'era del bronzo fino ad oggi questa Nera masnada aveva infoltito i suoi ranghi.
    Uomini e donne prese da ogni era, da ogni campo di battaglia, da ogni guerra. Lì dove la violenza pagava il soldo alla Puttana Guerra, Rhadamantys sceglieva portando con sé i guerrieri più forti e terribili che avevano calcato la terra imbrattandola di sangue, budella, piscio e merda.
    Cannoni della seconda guerra mondiale, fucili del 1800, le daghe di bronzo di chi aveva combattuto a Troia distruggendola più volte.
    I Pitti, gli Egizi, i Macedoni, Romani, Mongoli, Turchi, di ogni colore e foggia, di ogni sesso.
    Eccoli che si riunivano per quello che attendevano da ere.


    Erano lì perché l'editto era stato chiaro. Perché era Legge. Perché era Dogma e perché allontanava i loro occhi dalla verità: che erano schiavi.
    A cui Rhadamantys dava l'illusione del Sole e di una vita perduta, bagnandola col sangue dei nemici di Hades.
    Ma la morte di cui Hades era signore faceva più paura delle gabbia ma combattendo almeno si sentivano ancora vivi. Ancora utili per uno scopo.
    E adesso poteva dirsi GUERRA.


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    Rhadamantys vizeth mór Ardael gramora rumen Bekh Hades vizeth Hel
    Rhadamantys vizeth mór Ardael gramora rumen Bekh Hades,
    vizeth vi zethra rumen Hel
    Vizeth Hel! Vizeth Hel! Vizeth Hel!



     
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    Capitolo IV - Al vincitore nessuno chiederà mai conto di quello che ha fatto

    dVQ6h





    La ghost division si mosse sul fianco sinistro. Unità d'assalto altamente specializzate che attesero che gli Unni facessero la loro mossa.
    Spargendo rovina, piombarono d'ambo i lati sulla schiera principale mentre assaliva il centro dello schieramento dell'esercito del Giudice; ed essi sconfissero i servi del Bastardo e, perseguendoli per la piana, li sterminarono affatto, non lasciandone alcuno in vita.
    Quello era un esercito fatto d'acciaio e sangue, armi e una propensione per la battaglia che sembrava che vi fossero nati in mezzo.
    Penetrarono a fondo nello schieramento nemico, portando con sè il Vessilo di Rhadamantys della Viverna, chiazzato di sangue e lacero, a garrire sulla paiana in mezzo a nuguli di nemici.
    La battaglia era cruenta.
    Due schieramenti fatti d'orrore e morte. A chi poteva arridere la vittoria se Due Diavoli combattevano così malignamente?
    Rhadamantys se ne stava circondato dalle sue guardie, nero manto ne avvolgeva il corpo, mentre muoveva le sue truppe sul campo di battaglia.
    La sua mente aveva già partorito un piano e per renderlo tale sacrificò molti di chi combatteva per lui.
    Non una lacrima scese. Né un pensiero.
    Come in una partita a scacchi le pedine si muovevano: per ogni sconfitta, si acquisiva una casella in più da un altra parte, si stringeva sempre di più il nemico. A poco importava l'empatia e l'onore.
    La gloria un sudario d'oro per chi viveva di sogni e vanagloria.
    La vittoria sul campo era tutto.


    La Legio Martia teneva il fianco destro insieme a buona parte dei guerrieri asiatici. Chi aveva combattuto per l'imperatore, chi per i cinesi, chi sotto Nobunaga, chi come mercenario. Samurai e soldati dell'esercito
    Kongthap Bok Thai stavano fianco a fianco.
    L'ordine era stato diramato sul campo di battaglia e dall'alto videro scendere in picchiata Saphira e lunghe lingue di fiamme azzurro ghiaccio portarono distruzione e rovina sull'esercito del Bastardo.
    Eppure Rhadamantys sapeva che stavano solo ritardando il momento fatidico: finché non avessero scovato la madre che partoriva tutto questo non avrebbero mai potuto vincere.
    Per ogni nemico che cadeva altri sopraggiungevano, a differenza di quelli dell'esercito del Giudice che morivano trapassando nel nulla per non fare mai più ritorno.
    Ma cosa stava aspettando il Giudice?
    Tutti pensavano di trovarlo a cavalcare Saphira e così fu. Tra il fuoco e la carne che ghiacciava, tra le urla, e le grida di morte Rhadamantys finalmente atterrò in mezzo al campo di battaglia.
    Come sempre.
    Mai si era tirato indietro da una guerra. Da soldato cretese mai si era voltato a dare le spalle al nemico. da Giudice dell'Inferno aveva combattuto contro i saint sempre per primo. venendo sconfitto e uccidendo.
    Era lì. Pugno contratto e spada in pugno.
    Una daga. Come quella che da giovane usava per difendere Creta. Da piccolo sognava di essere un eroe. Forse così suo padre lo avrebbe visto.
    Forse così avrebbe visto la sua attenzione. Da giovane combattè per questo sogno. vana speranza.
    La realtà fu più putrida. Non c'erano nè fanfare, nè donne urlanti il suo nome. Non c'erano nè trombe nè gloria.
    Non c'era chi lo acclamava, chi voleva essere come lui. Un figlio bastardo di Zeus che non veniva riconosciuto dal padre.
    Si sussurrò, e da sussurro poi divenne grido, che fosse anche tutto falso.
    Europa era solo una megera. Una poco di buono, una falsa e spergiura che avrebbe avuto il Giudizio Divino per le sue parole mendacie.
    Eppure Radamanto non scordava i pianti della madre. Nemmeno Asterio poteva consolarla. Brav'uomo che ebbe su di sé un peso enorme.
    Un uomo migliore di quel figlio di vacca che, purtroppo, ebbe come padre.
    e nei suoi occhi brillarono la gloria di Creta. La sua storia che venne spazzata via dalla storia.
    Ma non dalla memoria di uno dei suoi figli più ribelli.
    E la daga si alzò e cadde per settanta volte. cantava Rhadamantys, figlio di Zeus, la gloria di Hades ad ogni colpo. Mentre la daga fumava del sangue nero dei giganti che costituivano la guardia del corpo del falso Hades.
    Ad ogni colpo c'era tutta la gloria di un uomo che fu grande, che cadde in neri vortici ma che ne risorse come Gigante.
    E mentre i colpi si susseguivano il suo esercito fu con lui. Spingendo i nemici, incalzandoli, le lance fecero scempio, impalandoli su di esse; sventolavano come macabri vessilli mentre la furia di Rhadamantys continuava a mietere nemici come una falce col grano.
    E finalmente, mentre attorno a lui vi erano solo cadaveri, mentre budella e sangue si mischiavano alla merda e al piscio, mentre i rantoli erano la nenia d'accompagnamento per tutto questo, Rhadamantys fu faccia a faccia col suo nemico.
    L'armatura distrutta in più parti, il sangue che colava che dovette legarsi mano ed elsa insieme per non perdere la presa, l'occhio sinistro andato eppure era lì.
    Finalmente poteva combattere.
    Eppure la lama non vista è la più letale. Per forzare il cerchio di protezione di quel bastardo aveva dovuto scendere lui stesso in prima linea e rischiare.
    Ma qualcun'altro aspettava questo.
    Rhadamantys era da sempre così.
    I saint lo conoscevano bene e si diceva che uno specter non può evolvere. Per farlo dovrebbero essere meno orgogliosi. meno demoni.
    Dovrebbero essere proprio quelli che disprezzavano di più e al tempo stesso non prendevano mai in considerazione



    - UOMINI




    Ecco perché la trappola scattò come tagliola sulla zampa di una lepre. La lama celata si mosse nelle tenebre affondando delicata e sinuosa come un amante esperta.
    L'illusione fu serpe strisciante. Veleno che a poco a poco fece il suo effetto.
    Le paure di un Demone. Le lacrime di un demone.
    Sua madre Europa.
    Buffo vero? Un demone era diventato tale per troppo amore verso al propria madre. Per troppo rispetto verso chi lo aveva accolto come un figlio. Troppo facilmente l'amore si tramutava in odio...frase fatta ma era vero.
    Ma perchè un demone provava tutto questo? Perchè un tempo fu uomo.
    Chi guidava gli specter era proprio un uomo che aveva divorato un demone divenendo un Giudice dell'inferno ed arma in mano di Hades.
    Tutto questo era stato stupido, vero?
    Combattere contro chi detiene il Cosmo? Tradire ed uccidere, calpestare ed usare a proprio uso e convenienza.
    Da Giudice a Boia. Da guerriero ad assassino.
    Da uomo a demone.
    Questa fu la parabola di Radamanto, figlio di Zeus.
    Creta....era stupenda. Ne aveva ancora negli occhi i bianchi templi, nelle orecchie il rumore del mare, sulle dita il tocco della sabbia e sul corpo i suoi odori e sapori. salmastri e dolci.
    Le navi all'ancora nel porto, i bambini che giocavano, gli uomini a lavoro e i vecchi a dispensare la saggezza dell'età e dell'esperienze fatte.
    Tutti morti. Da troppo tempo ormai. Amici e nemici.
    e allora perchè combattere ancora?
    Non una vittoria se non di Pirro e mai risolutive. Non un passo in più di quelli già fatti. Suo padre sempre nascosto al di là di nubi che ormai sembravano irraggiungibili.
    Questo vedeva.
    Vedeva una vita passata e i fallimenti. Vedeva come le sue scelte non lo avevano portato alla conquista dell'Olimpo. Ma solo a rimestare nel suo odio.
    ma fu l'odio da sempre a guidarlo. Non l'amore.
    Fu l'odio a farli sconfiggere la Viverna, fu l'odio a farlo essere arma di Hades e fu sempre l'odio a sorreggerlo in ogni sua battaglia.
    Perché per poter divorare un Dio non serviva l'amore.
    Bisognava diventare


    - UN MOSTRO



    A questo sin ridusse. Perdere tutto per avere altro. Barattare se stesso per una possibilità. Lo fece sapendo dei rischi. Lo fece per l'odio ma sopratutto per le parole di Hades. Che seppero scavare in quella corazza d'umiltà e di propositi giusti per non assomigliare al bastardo di suo padre.
    Ed ora?
    Doveva avere paura? Doveva scordarsi per cosa combatteva? Vi erano ferite così profonde che non si rimarginavano: buttavano pus e sangue.
    E fu allora che quell'odio totale spezzò l'illusione.
    Non poteva essere fermato dopotutto. Era un qualcosa che divorava il Giudice da troppo tempo. Un tempo che un uomo normale non poteva capire; un odio che un essere del genere non poteva provare.
    Un odio che distruggeva tutto e tutti.
    Ognuno di quei vermi che componevano l'esercito divenne poltiglia putrida agglomerandosi intorno alla bieca figura di chi aveva provato a prendere il posto di Hades.
    Una potenza che si andava sempre di più addensandosi in un enorme globo fatto di fuoco e cosmo. Fatto di rabbia e volontà.

    «MUORI»


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    L'urlo che seguì si mischiò al rombo del suo potere.

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    L'opportunità creata. Eccola infine.
    Rhadamantys si gettò come un suicida, contro quell'enorme globo che pulsava di fuoco e cosmo. Ribollente come se una stella fosse nata nel cuore dell'Inferno stesso e che poteva del tutto distruggerlo, accartocciarlo su se stesso facendolo estinguere nella sua stessa malvagità e oscurità.
    Ali di materia oscura si aprirono, lugubri e malsane, oscurarono il campo di battaglia mentre la Viverna si alzò in volo come cometa oscura.
    Una linea che sembrava uno squarcio nello spazio, l'urlo di qualcosa di antico e mai sopito. Mai dimenticato. Quell'odio era rimasto in attesa del suo momento e finalmente poté eruttare come un Vulcano per i troppi secoli in cui lo rinchiusero in gabbia, posando su di esso pesanti catene a lacerare spirito e mente.
    oggi poteva sfogarsi

    e1fa6e8a8d0b5545db092d84583aeb0e- Ti divorerò e sarai carne e sangue per il mio odio.
    Grazie a te ho fatto un passo in più per uccidere il Creato




    Fu una scena inquietante. Prima del colpo quelle ali si aprirono, come se volessero abbracciare quel globo fatto di fuoco e della carne dei demoni asserviti al falso Hades.
    Eppure non la stava fermando. Ci si era gettato dentro, ali spiegate, sorridendo mentre il colpo impattò sul petto. Braccia e gambe si serrarono e e i denti affondarono nel cosmo che ribolliva. Le lingue di fiamma avvilupparono Rhadamantys eppure le fiamme sembravano svanire, i toni dell'arancio e del rosso diventare grigi e il loro calore perdersi come sabbia nel vento.
    Stava divorando le fiamme e i corpi, il cosmo...ogni cosa.
    restaurando le energie della Viverna, facendolo tornare in forze, il cosmo alla sua massima violenza e forza.
    L'implosione.
    Le alisi chiusero.
    Il sorriso bastardo.
    il respiro più profondo.
    L'urlo.
    Fiamme di materia oscura.
    La distruzione del castello di Hades. L'esplosione violenta.
    Poi il silenzio.
    La testa del bastardo.
    Il crunch a strappare la carne.
    Era davvero diventato sostentamento per l'odio della Viverna.
    Un mostro che divorava il creato.



    Edited by Lyga - 22/7/2023, 15:09
     
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    Capitolo V- Flamadras. Odiato, Amato Flamadras. Ci appartieni ora e per sempre.

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    Sono Simo Häyhä. Ho accompagnato il Vampiro nelle sue ricerche.
    La Viverna ha preferito andare da solo.
    Tipico di Rhadamantys non chiedere a nessuno. Mi piace anche per quello. è come un cecchino.
    Come me. Ecco perché sono stato scelto per questa missione . Per tutta la guerra sono stato solitario, nascosto, osservavo tutto attraverso il mio mirino. Ora potevo vedere la guerra non da dentro, ma da fuori, da osservatore...Guardavo la brutalità e la stupidità della razza umana dal mirino del mio fucile.
    Adesso osservavo il Vampiro fare mattanza e cacciare.
    ma il mio signore?
    Il mio signore dopo l'incontro col Vampiro andò da solo alla ricerca di informazioni e tracce. L'avrei voluto osservare davvero. Avrei voluto capire in che modo si muovesse, osservarlo da un altra visuale, osservarlo dal mio mirino e non perdermi nulla: dalla contrazione muscolare, al modo in cui si muoveva, dove calcasse di più il peso in che modo combatteva senza dover essere generale.
    In più lo avevo sempre reputato un egoista senza scrupoli, qualcuno che avrebbe mosso ogni cosa e tutti per i propri scopi eppure vederlo spuntare all'improvviso conscio dei pericoli e, inaspettatamente, aveva chiesto lui stesso che insieme dovessero capire cosa stesse succedendo.
    Aveva sfruttato il vampiro per poter seguire le tracce lui stesso e al tempo stesso capire se fossimo braccati. Ci voleva proteggere?
    Mai.
    Voleva massimizzare le possibilità. Non mi stava sacrificando, mi stava usando perché io sapevo vedere al di là delle verità degli occhi. E quanta violenza, quanta verità, quanti vigliacchi travestiti da eroi guardai dal mio mirino.
    Ma perché mandarmi? Perché aveva visto quello che aveva fatto il vampiro: il sangue raccoltosi sul terreno si alzò formando una scia nebulosa che fluttuava leggera a mezz'aria prima di evaporare, il sangue svanì comandato dai nuovi e terrificanti poteri dello Specter, mentre un residuo nero e pesante - come il fumo che si generava dall'incendio della plastica - ricadeva al suolo. La cosa curiosa che catturò la mia attenzione fu però che quel residuo marcescente e nero che scaturiva dai corpi, come avesse vita propria tentava di ritirarsi nelle profondità degli inferi, ma il campo pareva schifare quella sostanza a tal punto che la terra sembrava aprirsi pur di evitare il tocco di quella pece.
    e fu allora che il generale ebbe quel brillio ferale negli occhi che gli aveva visto fare troppe volte.
    Dovevamo indagare. Dovevamo osservare e seguire.


    Fu lungo lo deve ammettere. Le tracce svanirono all'improvviso e dovemmo improvvisare.
    Dovetti osservare sapendo che ero osservato a mia volta e non volevo fare la figura dell'idiota. Non davanti a lui che mi aveva dato una seconda vita seppur fittizia, ma vita lo era. Perché non ero schiavo, né dannato, ero solo io che assecondavo il mio Io. Lui mi aveva scelto per questo. Nessuno della sua armata faceva parte dei tormenti e delle prigioni, dei gironi e dei supplizi che si infliggevano ai peccatori. Io ero un guerriero che poteva ancora combattere. Schiavo?
    In fondo tutti lo eravamo.
    E quindi se le tracce a terra erano come scomparse, non era scomparso quel potere dall'Ade. Quel sudario ancora ammorbava l'Ade e i suoi figli ancora scorrazzavano liberi.
    Bastava seguirli. Avevo visto nel corso del viaggio cosa potevano fare diverse manifestazioni del potere di quelle ombre. Esse agivano come un parassita infestante capace di traviare e dirigere i sentimenti del proprio ospite, facendone fuoriuscire i lati più perversi.
    E allora seguire le ombre fu il primo passo.
    Forse qualcun'altro rideva vedendo come mi appostavo, come mi fermavo ore per capire i movimenti, tracciarne le movenze e capire in che modo potessi anticiparli.

    Il Tartaro ci accolse.
    era chiaro che da qualche parte il potere doveva avere una sua motrice. Ed ero sempre stato bravo, maledettamente bravo, a scovare chi si nascondeva. Neve, ghiaccio, montagna, radura poco importava. Il mio occhio era diverso.
    Belial Eye.
    scovare la malvagità e la violenza era dannatamente facile attraverso il mio mirino.


    Preso dai suoi ragionamenti Vlad cadde in fallo, fu tardi per comprenderlo, solo quando Simo si girò di scatto puntando il suo fucile verso di lui e sparò un colpo capì l'errore "Tradimento!". Il proiettile di cosmo passò di fianco il braccio destro del Vampiro e si infranse nel buio. Non era lui il suo obiettivo, ne era certo, un simile cecchino non sbaglia da quella distanza e con il bersaglio fermo, e soprattutto non spara colpi di avvertimento. Mentre la luce di quel pensiero rischiarava il suo stato d'animo, si girò, era un avvertimento, non per lui. Dalle tenebre ne uscì Radamante della Viverna. «Mi stavi forse seguendo Giudice?»


    In effetti fu scenica e comica allo stesso tempo. Ma dovevo avvertire il mio sire perchè ora era suo il campo. Il mio ruolo era concluso. Avevo ancora una volta adempiuto al mio scopo e allo scopo di chi deteneva il mio onore.



    Il Carceriere e l'Ultimo Angelo
    Sei mio




    E così il Giudice si sedette in attesa del suo nemico.
    O dei nemici.
    Quando fu ragazzo questo fu uno dei suoi compiti. Essere un soldato non rientrava nelle sue mansioni: vuoi perché non aveva ancora destrezza con la spada, vuoi perché il suo tempo doveva ancora venire.
    E oggi osservava i movimenti di quell'esercito. Era concentrato, la sua spocchia, il suo orgoglio, la sua alterigia erano scomparse. Vi era solo l'obbiettivo.
    Era un soldato che combatteva e basta. Il suo compito era proteggere tutto questo e fu allora che pensò che non c'era poi così tanta differenza tra un Gold saint e lui stesso. Entrambi proteggevano e versavano sangue per i loro Dei.
    entrambi disposti a morire in nome di un ideale supremo.
    Entrambi disposti a sacrificare tutto per non far avanzare il nemico fino ai loro Dei.
    Eppure per uno specter nessuno aveva mai messo piede nell'ade. Nessuno aveva mai reso l'Ade un luogo di saccheggio e rovina.
    Ed ora erano davanti al Tartaro. La prigione dei peggiori figli di puttana del Cosmo. Se fossero liberi...meglio non pensarci, fu il suo primo pensiero.
    Sapere che i Titani potessero essere liberi e poter dare sfogo ad una rabbia che covavano dentro da ancora prima della nascita di Rhadamantys, ancora prima della nascita delle 108 stelle mali del mondo lo fece rabbrividire.
    Ma chi aveva un potere tale da sovvertire l'ordine che fu editto e legge di Zeus a cui Hades appose i suoi sigilli?
    Ma entrare era impossibile.
    Forse...dovevano pazientare. E Rhadamantys riscoprì la pazienza. Essere un uomo aveva i suoi vantaggi dopotutto.
    Un immortale aveva pazienza? Si...ma Rhadamantys era un ssere che amava possedere tutto e tutti subito. Attendere non era nella sua natura eppure...

    ...fu dolce

    Assaporare lentamente il gusto della vendetta, assaporare la lama che affonda nel petto, vedere gli occhi perdere luce e la disperazione contrarre il viso. Si era dimenticato di tali piaceri. Forse questa storia serviva anche a lui per migliorare, per cambiare, per essere il demone che Hades avrebbe sfruttato per divorare il creato e portare la sua legge fin dentro le aule di suo padre.

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    Questo fu il loro vero nemico. Artefice e musico, melodia e parole, di tutta questa storia.
    Finalmente erano riusciti nell'impresa ardua e maledetta, che Rhadamantys non racconterà mai a nessuno, a penetrare nel fondo di quella cloaca chiamata Tartaro.
    L'Inferno era ancora strangolato dal potere delle Ombre, la loro cupidigia senza fine, la loro scolta morbida e appagata dal gusto dolce di una vittoria a portata di dita.
    Quante analogie con gli specter.
    e finalmente capirono chi c'era dietro tutto questo.
    Il carceriere. Tradimento. Bugie. Morte. Distruzione. vanagloria. Egoismo. Il pensarsi al di sopra di Hades volendo lui stesso divorare il suo Dio per essere così in alto da poter avere tutto per sè.
    Lui che aveva scelto di servire, di proteggere, di farsi garante di una legge e di un editto emesso ben prima di tutto questo ora, spavaldo e bastardo, concupiva il regno di Hades volendosi arrogare diritti che non aveva.
    Ma batterlo?
    Sconfiggere un potere del genere? Follia.
    Disgustantemente una follia. Maledettamente al di là delle loro forze. Non avrebbe avuto possibilità contro di lui. Il suo potere era al di là della sua portata, al di là del suo pugno. E quindi?
    Questo significava che non potevano fare nulla? Si rifiutò di crederlo, di pensarlo ancora!
    Colpì il terreno con un pugno, cercando di sfogare quella rabbia che bruciava dentro di lui.
    Dovevano capire di più.
    La rabbia doveva aspettare.




    Il carceriere era un angelo - vagava per il Tartaro richiamando a sè le ombre che tornavano come un fiume che sfida la corrente e risale verso la sua sorgente. Le ali un tempo candide, adesso erano grigie e sporche, appesantite dalla cenere che incessante cadeva dall'alto, il suo incedere era cadenzato in modo sincopato a causa di uno zoppicare vistoso della gamba sinistra, il volto che in qualche modo era ancora definibile come bello era sormontato da un paio di escrescenze ossee, una delle quali spezzata a metà, il tutto stava lì ad incorniciare grandi occhi gialli senza pupille, che parevano spiritati e vigili.
    Ormai lo osserrvava a lungo così con chi si intratteneva. Con chi parlava. Più volte scesero nel Tartaro, rischiando ogni volta eppure sempre ne riemersero con nuove conoscenze e informazioni.
    Avevano avuto un colpo di fortuna. Perchè il Carceriere sembrava, stranamente, legato al Tartaro, come se non potesse muoversi da esso e ancora questa domanda non è stata data risposta eppure il suo cosmo ribolliva in perfetta sincronia con altri due esseri che sembravano i suoi occhi e le sue braccia.
    Ecco come faceva a guidare quest'orda senza senso. Era giusto?
    Ma in fondo importava?
    Cosa sarebbe successo se fossero morti? Perchè non provarci dopotutto...la guerra la stavano perdendo. Ritardavano il boia e la scure di quanto ancora?
    ecco perchè si divisero.
    ognuno per sè. Ognuno preda del suo destino e della sua forza.


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    seguì l'ombra di soppiatto. Doveva avere pazienza come quando pescava a Creta. Il momento sarebbe giunto per colpire.
    E colpì...ma la battaglia che seguì come il sacrificio che dovette pagare non lo avrebbe mai raccontato. Quello sarebbe rimasto solo suo. Un suo segreto. Nè leggenda, nè racconto lo avrebbe riportato. Sarebbe morto con lui alla fine dei tempi, con Hades sul Trono e il Cosmo restaurato



    Edited by Lyga - 24/7/2023, 20:08
     
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    - Non potete ucciderlo, non senza distruggere i sigilli che tengono rinchiusi i Titani
    - La vostra speranza di vittoria è intrecciata a quella di catturare il Caduto o vincerlo! Folli.






    «Credimi non lo farei.
    Ma tempo da perdere non ne ho. In fondo va così, vero?»


    Flamadras era stato preso. catturato come una preda. Lepre per sfamare il cacciatore.
    Anima per l'Inferno.

    «Può essere lunga e dolorosa o veloce e indolore.
    E poi questi perché sono ininfluenti. Così come la tua alterigia...»


    Avrebbero trovato un altra via. Ma ora dovevano occuparsi di Flamadras e non sarebbe stato piacevole.
    Il vampiro lo gettò con noncuranza nelle acque gelide e cristalline che si infrangevano sulla battigia, gli avevano strappato le ali a mani nude, piuma dopo piuma, godendo di quello scempio, ma era necessario, dovevano assicurarsi che non potesse fuggire, dopotutto la prudenza non era mai troppa. Il viso del Giudice fu davanti a quello di Flamadras.
    Rhadamantys era qualcosa di abominevole. prima Re, poi Giudice, ora Imperator che comandava uno stuolo di demoni che non conoscevano pietà, né empatia; giudicava con pugno di ferro le anime e assisteva ai loro tormenti senza provare nulla.
    Osservava per poi dimenticarsene.
    Per lui l'anima di Flamadras era l'ennesima di un' infinità. Giudice e Boia...e lo sguardo si fece liquido e le dimensioni si squarciarono vomitando oscenità putride che urlavano follia e disperazione.

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    - La vittoria non necessita di spiegazioni, la sconfitta non ne consente.





    Erano lì ora. Pronti a fare l'impossibile. Paura?
    Non ne conoscevano affatto.
    Della morte, del carceriere, di qualsiasi aberrazione, finanche dei Titani, gli specter non avevano paura. Soprattutto Viverna e vampiro che bruciavano odio e volontà di sangue e ferro.
    Fremevano volenti portare la distruzione sulle loro terre lorde dell'impuro tocco delle ombre.
    peccato che avrebbe richiesto

    - GIUDIZIO DIVINO



    Sentì gli artigli e le zanne del Vampiro sfregare vogliose di carne. Il loro spirito guerriero ruggiva esplodendo all'unisono mischiandosi l'uno nell'altro in una miriade di scintille violacee che virarono al nero più totale.
    Lingue cremisi si agitavano in quel vortice di pece. Più nero della notte. Più nero delle più nere profondità dell'Inferno.
    Le loro surplici brillavano come oscene gemme preziose del mondo dei morti.
    Non corrotte. Non c'era nulla di corrotto nell'Inferno. Vi era solo il Male.
    un Male che non dormiva mai.
    un male fattosi artigli e zanne, fattosi pugno e ali. fattosi urlo.
    e il piede della Viverna batté violentemente al suolo alzando un polverone e squassandolo come se vi fosse Un terremoto. L'intero campo di battaglia venne a trovarsi preda del potere di Radamanto, figlio bastardo di Zeus.
    Re di Creta.

    - GIUDICE DELL'ADE



    Schioccò la lingua sul palato.
    Fremeva in questi momenti. Era in questi momenti che il suo odio poteva mostrarsi non più tenuto a freno né da titoli, né da posizioni, né da responsabilità o promesse.
    Era libero di poter divorare qualsiasi cosa fosse fra lui e la vittoria di Hades.
    Il Vampiro scattò subito.
    Squarci di dimensioni e si gettò dentro.
    Le dimensioni del giudice lo portarono di fronte al loro nemico. Il pugno si serrò e con esso esplose la violenza del combattimento.
    Dire che fu meraviglioso è riduttivo.
    i due specter dettero fondo alla loro nomea di stelle malefiche portando sangue e violenza, epurando questo mondo con il loro odio e l'Editto Ultimo.
    Rhadamantys si alzò in volo facendo piombare sul campo una pioggia di materia oscura a crivellare il campo.
    E fu la Viverna Malevola della Leggenda. Colei che divora i Draghi.
    Il vampiro strappò pezzi di carne, assaporandone gusto e sangue. L'oscurità avvolse il campo e si condensò in un globo lanciato verso il petto di Rhadamantys che contrattaccò con quell'odio feroce. Il suo braccio fu ferito e sangue ne colò copioso dagli squarci aperti su di esso. Eppure la risata del Giudice riecheggiava cavernosa e lugubre seguita dall'ululato del Conte che si sentiva libero come non fu da troppo tempo.
    i loro attacchi arrivarono precisi e letali.
    Il Voivoda che impalava i Turchi, scudo e mostruosità dell'Occidente cristiano, aggiunse un tassello alla sua oscura leggenda. ma fu più radiosa che mai. Come nero diamante che brillasse di luce spuria assoggetando ogni luce intorno a lui.

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    - Temetemi mortali poiché sono il Consacrato, il figlio Prediletto del Caos, il Flagello del Mondo.




    La sua voce tuonava come rombo di cannone sul campo. e in essa vi era l'eco di antiche battaglie. Di quando il sangue veniva versato per la causa di Cristo.
    Per proteggere i fedeli dall'eretico e dall'infedele.
    Si. Li ricordava bene quei giorni, Rhadamantys. Ricordava bene la violenza del Voivoda della Valacchia.
    Fuoriuscì da una dimensione inglobando il vortice di fuoco e ombra, facendolo divorare dalle dimensioni. Per poi comandare alle anime di farsi scudo e daga.
    E fu scontro di spada e ombra, fuoco e peccato, di contro ad un uomo rivestito di un armatura di materia oscura. Le sue armi strette in mani che ne conoscevano troppo bene forma e peso. Anzi le sembrò quasi di toccare il corpo vellutato di una donna. Fu piacevole sentirle tra le sue mani.

    «Permetti?»

    E fu gloria e oscuri ricordi.
    il figlio di Zeus, che mai si fece chiamare così, mai usò il padre per avere sollazzi di ogni genere o facili vie, combatté con la gloria dell'Olimpo negli occhi.
    Incrociò la spada con quella del nemico e si sentì elettrizzato.

    - Chi vede la propria morte, può evitarne il cammino. Chi vede la morte altrui può rendersene il fautore



    Non cedette. Lo scudo distrutto. Due daghe ora. lanciò entrambi per poi incanalare la materia oscura negli occhi per sparare dei raggi altamente concentrati e annichilirlo nell'editto del Dogma.
    Legge Suprema che veniva emessa da Hades e il boia Rhadamantys la rendeva effettiva.
    La lotta andò avanti per diverse ore, un tempo immane per un combattimento altrettanto fuori dal comune. Più volte le dimensioni si piegarono al volere degli specter e più volte la luce magmatica del tartaro venne oscurata dall'ombra che sprigionava il Carceriere; ma anche colpi meno scenici e più brutali fecero la loro comparsa nel combattimento. Mandibole furono rotte e fiumi di sangue furono versati, e lo stesso Conte fu costretto ad usare la piena potenza delle sue abilità per non soccombere.
    Rhadamantys fu accanto a lui.

    «Chi ti ha detto di morire? Di cedere? Io dispongo di te e della tua vita e non ti ho comandato di morire.
    Continua a combattere! »



    Il Figlio di Zeus protesse il suo compagno facendolo rialzare per poi rilanciarsi con velocità disumane verso il suo nemico.
    Il calcio basso andò perfettamente a segno sulla gamba d'appoggio del bastardo. La materia oscura trovava pasto pantagruelico oggi.
    Potevano vincere?
    Si.
    Ma Rhadamantyus sapeva fin troppo bene che non era mai facile.
    Non lo fu ad Atlantide, non lo fu contro il Toro d'oro e nelle innumerevoli sconfitte e vittorie contro Athena e le cappe dorate, non lo fu nemmeno oggi.

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    - Trema o Sole, grida di dolore o Terra! Poiché io sono il nemico che avrà Tutto



    «Ora! O possiamo anche sparire nel Nulla.
    Uccidiamolo ora!»


    Non per Gloria. Non per utopia. Non per supremazia.
    Uccidere perchè loro erano specter e divoravano la vita per alimentare se stessi e l'ambizione del loro signore.

    9b7abcb8157d6c8ecdbf5dbdcc4fda97- INCHINATI A ME
    PROSTATI AL COSPETTO DELL'IMPERATOR E DONA LA TUA VITA AL MIO ODIO




    Lo scontro tra le due fazioni era arrivato al suo finale; il fu angelo si gettò in un ultimo disperato assalto verso gli specter che erano pronti ad accoglierlo, la Viverna pronta a divorare il proprio avversario e il Conte deciso a giustiziarlo. Dai pentacoli, proprio mentre l'angelo ed il giudice stavano per scontrarsi, apparve una sterminata distesa di picche, dalle più disparate fogge, ma tutte avevano lo stesso obiettivo: impalare il re.


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    E finalmente l'aberrazione fu sconfitta.
    Due paia di ali nere, distrutte eppure ancora orgogliose e vogliose, si aprirono sul campo di battaglia.
    Ombra lugubre.
    Gli specter non erano stati sconfitti e avrebbero ben presto allungato la loro ombra, di nuovo, sul mondo.
    Questa volta lo facevano per vincere e annichilire i loro nemici.
    Non vi sarebbe stata un'altra Guerra Sacra!


    - Sottomettetevi al suo volere.





    Edited by Lyga - 24/7/2023, 22:56
     
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